giovedì 7 giugno 2012

ARRIVERANNO TRA VENT'ANNI...




Seth Shostak, direttore del Seti Institute, l’ente che cerca segnali spaziali provenienti da eventuali civiltà extraterrestri. Ecco cosa ha detto.

C’è chi ritiene siano da tantissimo tempo tra noi. Chi pensa che ci abbiano fatto visita e siano andati via. Chi crede di vedere i loro dischi volanti e raggi traenti. Ma anche, all’estremo opposto, chi è sicuro che non esistono e che siamo completamente soli nell’Universo. 
Al netto comunque, la questione dell’esistenza degli alieni resta uno dei temi più misteriosi e affascinanti della scienza moderna. L’unica certezza è che non c’è nessuna certezza: se esistono davvero forme di vita intelligenti oltre la nostra – e la vastità dell’Universo lascia supporre che sia così – ancora non siamo riusciti a rivelarle né a stabilire alcun contatto con loro. Non stiamo lesinando alcuno sforzo, come sanno bene gli esperti del Search for Extra-Terrestrial Intelligence (Seti), il programma privato statunitense che dal 1974 si occupa, per l’appunto, della ricerca di segnali di vita intelligente extraterrestre, scandagliando il cielo in attesa di ricevere messaggi artificiali inviati dallo Spazio profondo e, contemporaneamente, inviando nell’etere segnali della nostra esistenza. Ne abbiamo discusso con Seth Shostak, direttore dell’istituto, in visita in Italia in occasione dello Spring School Colloquium, conferenza organizzata dal Laboratori Nazionali di Frascatidell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Professor Shostak, l’istituto che dirige cerca, da oltre quarant’anni, di captare segnali alieni. Ma non ha ancora identificato un messaggio di inequivocabile natura extraterrestre. Possibile che siamo davvero soli nell’Universo? 
“Non lo credo. A dir la verità, ho scommesso un paio di caffè che capteremo segnali alieni entro i prossimi vent’anni. Giusto un paio di caffè, non una fuoriserie [ride]. Sul serio, l’Universo è così vasto che sarebbe un atto di grande presunzione pensare che siamo così speciali da essere le uniche creature intelligenti che lo popolano”. 
La scienza ha già provato a quantificare la probabilità dell’esistenza di intelligenze aliene: da una parte c’è l’equazione di Drake, che stima il numero di civiltà extraterrestri in grado di comunicare nella nostra galassia. Dall’altra il paradosso di Fermi:“Se la nostra galassia pullula di civiltà sviluppate, dove sono tutti?”. Come si pone l’attività di ricerca del Seti rispetto a questi due estremi? 
“Enrico Fermi era un tipo molto in gamba. Ma il paradosso a lui attribuito è una conclusione generale derivata da un’osservazione locale. Pensi al giardino qui fuori. Non ci sono tigri: dovremmo forse dedurre che nel mondo non esistono le tigri? Se letto da questo punto di vista, il paradosso di Fermi non mi scoraggia poi tanto. Secondo qualcuno, forse lo scienziato intendeva dire che non potremo mai compiere viaggi interstellari. Io non so cosa pensasse davvero Fermi: magari si stava semplicemente chiedendo ‘Dove sono tutti?’ perché non c’era nessuno a pranzo con lui. Il fatto che finora non abbiamo visto gli alieni, ripeto, non vuol dire nulla: potrebbero esserci miliardi di creature extraterrestri tra la Terra e Nettuno e potremmo comunque ignorarne l’esistenza. “Recentemente, Frank e Sullivan [astrofisici della University of Rochester, nda] hanno pubblicato un lavoro in cui hanno rivisto i termini dell’equazione di Drake: secondo le loro stime, le probabilità che il genere umano sia l’unica civiltà evoluta nell’Universo sono 10-22, cioè una su un miliardo di bilioni. Come dice Jodie Foster nel film Contact, ‘Se ci fossimo solo noi, sarebbe uno spreco di spazio’. Io sono d’accordo: è questo l’argomento principale che spinge il Seti a continuare con la sua attività. Ci sono 1022 stelle nell’Universo visibile, e una frazione considerevole di queste è circondata da pianeti che potenzialmente ospitano la vita”. 
Come si cercano gli alieni? Quali sono le strade più percorribili e promettenti? “Scandagliamo il cielo aspettando che ci arrivino dei segnali radio, sperando di ascoltare segnali molto stretti in frequenza. Di solito, segnali di questo tipo non sono attribuibili a eventi naturali, quindi per noi rappresenterebbero un’evidenza abbastanza palese della presenza di intelligenze extraterrestri. Ci serviamo di un array di antenne, lo Allen Telescope Array, e di due altri telescopi, uno in West Virginia e l’altro in Australia. Ma stiamo anche iniziando a cercare segnali di altro tipo, come la luce pulsata. Si tratta di un territorio completamente inesplorato. Una cosa curiosa: l’unica nazione al mondo a svolgere attività di ricerca di questo tipo, oltre agli Stati Uniti, è stata l’Italia, con un’antenna dalle parti di Bologna. Forse ha qualcosa a che fare con la cultura del vostro paese”. 
Che messaggio potrebbe contenere un segnale proveniente da altre civiltà? 
“Ci sono due possibilità. Una è che il segnale sia pieno di informazioni. Se sanno con certezza che siamo qui, se suppongono che potremmo essere qui, o anche solo se hanno qualche ragione che li spinge a trasmettere in questa direzione, tenendo conto che potrebbero essere lontani centinaia di anni luce, o forse più, perché dovrebbero dirci soltanto ‘Ciao, siamo gli alieni’? Penso che invierebbero più informazioni possibile, il che ci sarebbe estremamente utile per decifrare il messaggio. È come decodificare i geroglifici: ci siamo riusciti in fretta perché ne avevamo a disposizione a bizzeffe. Se ci arrivassero messaggi molto corposi potremmo scoprire ridondanze utili a capire cosa contengono. “L’altra possibilità, forse più probabile, è che loro non sappiano che siamo qui e che siano molto lontani da noi: potrebbero non sapere dell’esistenza dell’Homo sapiens né dell’atmosfera, e aver solo individuato nella Terra un potenziale pianeta abitabile. In questo caso, forse, potrebbero aver inviato segnali periodici verso migliaia di pianeti, aspettando una risposta. Un po’ come se stessimo lanciando nell’oceano una bottiglia con un messaggio. “Ma c’è dell’altro. È molto probabile che il segnale non arrivi da intelligenze biologiche, ma da un’intelligenza artificiale. È un’ipotesi da prendere seriamente in considerazione: è possibile che già ora la maggior parte di intelligenza presente nell’Universo sia artificiale. Scoprire un segnale di questo tipo ci direbbe molto sul nostro futuro”. 
Cosa dice, invece, a proposito del cosiddetto Seti attivo, ovvero dei segnali che noi inviamo nello Spazio? 
“Dovremmo inviare nello Spazio l’intera internet, sempre per ragioni di economia del contenuto rispetto alle difficoltà di comunicazione e ricezione. Non credo sia pericoloso inviare troppe informazioni su di noi: pensarlo è pura paranoia. È facile mostrare che ogni civiltà ipoteticamente in grado di inviare un’astronave quaggiù sarebbe migliaia o milioni di anni avanti alla nostra dal punto di vista tecnologico. Figurarsi se non avere informazioni su di noi potrebbe intimorire le loro eventuali intenzioni bellicose”. 
Pensa sia possibile che esistano altre forme di vita non necessariamente basate sul carbonio? 
“Se cerchiamo forme di vita basate sul carbonio è solo perché sono le più semplici si possa immaginare: il carbonio ha quattro legami covalenti ed è estremamente abbondante nell’Universo. Altri hanno cercato altre possibilità, come il silicio – anche il silicio ha quattro legami covalenti. Ma è un atomo più grande e pesante del carbonio, il che complicherebbe molto lo scenario e le possibilità. Per ora, se dovessi scommettere, lo farei sull’esistenza di altre forme di vita basate sul carbonio”.

Fonte: (Wired.it)

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