giovedì 24 aprile 2008

NOTIZIE e FATTI DAL MONDO... DEL SOVRANNATURALE...

Tratto dal MIR-NEWS (www.mysterymir.org)


NOTIZIE e FATTI DAL MONDO... DEL SOVRANNATURALE...



UNA BATTAGLIA FANTASMA

Prima dell’alba del 19 agosto 1942, in pieno svolgimento del secondo conflitto mondiale, truppe inglesi e canadesi attaccarono il porto di Dieppe, in Normandia, occupato militarmente dai tedeschi. Avrebbe dovuto essere una prova generica per il successivo sbarco del D-day (6 giugno 1944). L’operazione fu un insuccesso clamoroso: degli oltre seimila soldati alleati che parteciparono allo sbarco, oltre tremilacinquecento rimasero uccisi, feriti o fatti prigionieri. Questo l’antefatto. Il quattro agosto 1951, a guerra conclusa, due turiste inglesi in vacanza a Dieppe alle prime luci del mattino, mentre dormivano in un albergo di campagna, furono svegliate da forti rumori di cannoneggiamento. Nelle tre ore successive sentirono il clamore preciso e particolareggiato di una battaglia che sembrava essere rimasta intrappolata nel tempo, ed il loro resoconto della battaglia venne poi confermato dai rapporti contenuti negli archivi storici militari. Evelyn Quinn e Sue Hanworld, questi i nomi delle turiste entrambe di circa quaranta anni, descrissero la battaglia nei seguenti termini che qui si riportano in massima sintesi.Ore 5 del mattino: le donne udirono rumori di spari di cannoni provenienti dal mare e frastuoni di aerei in picchiata. La flotta d’assalto alleata e gli aerei di copertura iniziarono ad agire alle ore 04,43. Ore 5,07, le donne parlarono di rumori assordanti ad ondate successive. Una testa di ponte fu stabilita nel vicino paese di Puys sotto un fuoco di difesa accanito, poi i caccia della Raf iniziarono il cannoneggiamento aereo e i bombardieri attaccarono le attrezzature del porto alle ore 05,10. Ore 5,50, le due donne udirono un fracasso di aerei che cadevano al suolo e deboli rumori in lontananza. Alle ore 05,50 iniziò il contrattacco dell’aviazione tedesca che abbatté numerosi aerei alleati, mentre ad alta quota iniziava una battaglia aerea. Alle 6,00 il frastuono si affievolì, fino a cessare completamente alle 6,55. In effetti alle 06 del mattino la battaglia di Dieppe poteva dirsi conclusa. Le perdite anglo canadesi furono terribili, e i superstiti rimasti sul campo si arresero ai tedeschi. Nessuna altra persona udì qualcosa di insolito, in quel giorno né mai. Tuttavia le due donne avevano fornito un resoconto preciso del reale svolgimento dei singoli eventi. Nel marzo del 1953, al termine di una lunga inchiesta sul fatto, l’autorevole “Società Britannica per le Ricerche Psichiche” giunse alla conclusione che l’esperienza delle due turiste doveva essere considerata come autentica, come una genuino fenomeno di natura psichica

di Gabriele Petromilli (direttore M.I.R.)



I VOLTI DI BELMEZ

In un afoso pomeriggio di agosto dell’anno 1971, una vecchia donna e suo nipote di nove anni sedevano e parlavano tranquilli nella loro casa di Belmez, un piccolo paese spagnolo ai piedi dei Pirenei, nella Spagna meridionale. Non potevano immaginare che di lì a poco si sarebbe sviluppato un mistero che a tutt’oggi fa discutere gli scienziati, gli esorcisti e i parapsicologi di tutto il mondo. Di fronte a loro c’era un caminetto ricoperto di piastrelle color rosa, come rosa era il colore del pavimento prospiciente della stanza. D’improvviso, il ragazzino notò su una piastrella le figure ben delineate di almeno due volti dalla espressione triste e turbata. Avvertì la nonna che, spaventata, cercò di cancellare le immagini con uno straccio e dell’acqua. Non riuscendo a capire chi avesse disegnato i volti la donna rimase spaventata, tanto più che le figure apparivano come stampate nelle piastrelle del caminetto e, nonostante la pulizia approntata, rimanevano indelebili. Circa tre settimane più tardi, le figure, più piccole delle originali e con fisionomie differenti, avevano raggiunto il numero di ventidue. Affioravano dalla copertura del caminetto e dal pavimento. La famiglia che abitava la casa si rivolse alle autorità di polizia locale per denunciare lo strano fatto e a loro volta queste, ravvisando nell’evento più di una stranezza, informarono del caso il professor German de Argumosa, parapsicologo noto in Spagna per una serie di trasmissioni televisive. Le indagini dell’esperto, recatosi immediatamente nel luogo, portarono alla individuazione dei resti di un cimitero d’epoca medievale sotto la villetta dei fatti. Nessuno della famiglia e del piccolo paese conosceva l’esistenza dell’antico camposanto. Alla stanza della abitazione furono apposti i sigilli, il resto del pavimento fu divelto e all’ambiente vennero applicati microfoni particolari e strumentazioni elettromagnetiche (nel 1971 erano questi i dispositivi che venivano usati in casi simili). A de Argumosa si aggiunsero altri studiosi di parapsicologia e altri esperti, ma nessuno di loro riuscì a risolvere il caso che fu, e che rimane, del tutto misterioso. Il fenomeno della formazione dei volti sulle piastrelle scomparve gradatamente in circa tre mesi, così come era iniziato. In questo periodo di tempo i microfoni dei parapsicologi registrarono voci e linguaggi incomprensibili, a volte gemiti sommessi di dolore, altre volta urla di sofferenza. In termini paranormali gli esperti sostengono che fenomeno, così come si sarebbe presentato, potrebbe essere ascrivibile negli eventi di “teleplasia” (formazione di materia a distanza). Altri al tempo dei fatti, invece, dissero che vi fosse stata una rievocazione spettrale di avvenimenti drammatici connessi con la stregoneria medievale o con qualche tragico evento collettivo.

di Pietro Montedoro (sez. culturale M.I.R.)


STRANE COINCIDENZE

Le vite, soprattutto le morti, dei presidenti statunitensi Abraham Lincoln e di John Fitzgerald Kennedy cono collegate da una strabiliante serie di coincidenze in cui ricorrono con regolarità nomi e date. Queste circostanze non sono uniche nella storia, quasi a dimostrare che le sorti degli uomini sono intimamente collegate. E non lo sappiamo. Vediamo. Lincoln fu eletto membro del Congresso per la prima volta nel 1846, Kennedy fu eletto alla stessa carica esattamente cento anni dopo. Lincoln fu designato come sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America nel novembre 1860, l’elezione di Kennedy ebbe luogo nel novembre 1960. Dopo la loro morte, a ciascuno dei due è succeduto un uomo del sud di nome Johnson: Andrew Johnson, successore di Lincoln era nato nel 1808, Lyndon Johnson, quello di Kennedy, nel 1908. John Booth, l’uomo che sparò a Lincoln era nato nel 1838, Lee Oswald, l’assassino di Kennedy, nel 1938 ed entrambi furono uccisi prima di giungere davanti a un tribunale. Il primo commise il delitto in un teatro per poi rifugiarsi in un deposito, il secondo sparò ed uccise in un magazzino per poi nascondersi in un teatro. I due presidenti avevano entrambi condotto delle storiche campagne per i diritti civili nei loro paesi. Tutti e due furono colpiti ella parte posteriore del capo e, a, le rispettive mogli erano insieme a loro. Lincoln fu abbattuto al Teatro Ford, Kennedy fu colpito mentre sedeva su un’automobile Ford con il nome di serie “Lincoln”. Un’ultima coincidenza: Kennedy aveva una segretaria di nome Lincoln, Lincoln un segretario di nome Kennedy. Il giorno precedente alla loro morte, entrambi i collaboratori li avevano sconsigliato vivamente di recarsi agli appuntamenti fatali.

di Elena Di Faggio (sez. culturale M.I.R.)



GIOVANNI BOSCO E CASA SAVOIA

Il più popolare santo torinese è senza dubbio Giovanni Bosco (ricorrenza annuale, 31 gennaio), un uomo che aveva anche il dono della veggenza, specialmente durante il sonno. Egli più volte previde con chiarezza quanto di epocale doveva accadere, ma anche nella normale vita quotidiana gli succedevano spesso fatti strani e misteriosi. Per esempio, per un certo periodo un cane misterioso a cui diede nome di “Grigio”, gli compariva al fianco ogni volta che si trovava in pericolo per poi scomparire altrettanto misteriosamente come era comparso. Nel 1855, mentre il parlamento piemontese si accingeva a votare l’esproprio dei beni del clero, il re Vittorio Emanuele II ricevette da Giovanni Bosco due lettere che gli annunciavano grandi funerali di corte. Poco tempo dopo, nello stesso anno morivano la regina madre, sua moglie, un fratello e uno dei suoi figli. Don bosco previde anche che i,Savoia non avrebbero più regnato dalla terza generazione. Infatti Vittorio Emanuele III perse il trono italiano nel giugno del 1946.

di Fabio Romani (sez. culturale M.I.R.)


LE PROFEZIE DI JEANE DIXON


Tra le più celebrate profezie della storia contemporanea sono annoverate quelle eseguite da una matura veggente statunitense, Jeane Dixon. Si riferivano in particolare modo alla morte di alcune personalità della politica internazione, tra le quali John Fitzgerald Kennedy, tanto da fare confermare le ipotesi che i chiaroveggenti predicano generalmente soltanto cattivi avvenimenti.

La veggente in questione, infatti, fu la prima persona ad avvisare l’enturage del presidente Kennedy che fosse in grave pericolo, e ripeté più volte tale avvertimento. Nel 1952, undici anni prima dell’uccisione, Dixon profetizzò che un “democratico dagli occhi azzurri” sarebbe diventato primo cittadino americano nel 1960 e che successivamente sarebbe stato assassinato. Il giorno in cui spararono a Kennedy, la veggente disse durante il pranzo ad alcuni amici che qualcosa di terribile stesse per capitare al presidente. Jeane predisse anche le morti di Roosvelt nel 1945, del Mahatma Gandi nel 1948 e di Martin Luther King nel 1968. Quando si incontrò a Washington con Winston Churchill nel 1945, gli disse che sarebbe stato esonerato dal governo inglese ma che sarebbe ritornato al potere nel 1952. Entrambe le predizioni risultarono esatte, come anche le previsioni sui tumulti razziali in diverse città americane negli anni 1963 e 1964, nonché le imprese sovietiche nello spazio. Dixon previde anche un olocausto mondiale per gli anni ’80 e l’ascesa in quegli anni di un grande monarca condottiero del Medio Oriente. Queste preconizzazioni fortunatamente non si sono avverate, e tutto lascia sperare che non lo siano mai.

di Pietro Montedoro (sez. culturale M.I.R.)



VOLPI, DAME BIANCHE E DAME NERE


Gli annali della nobiltà europea abbondano di misteriose storie di fatti soprannaturali. Tra queste, la sinistra leggenda delle “volpi di Gormanston”. Ogni volta che un rappresentante della famiglia Gormanston stava per morire, il castello delle contea di Meath, in Irlanda, veniva circondato dalle volpi. Nel settembre del 876 lady Gormanston osservò una muta di volpi che andavano in cerca di cibo presso la porta del suo castello. Suo marito, tredicesimo visconte della casata, morì nella stessa notte. Un caso, certo. Ma al funerale, eseguito pochi giorni dopo, le volpi seguirono il feretro fino alla sepoltura. Quando si spense il quattordicesimo visconte nel 1907, alcune volpi rimasero tutta le notte fuori della cappella dove giaceva la salma. Vani furono i tentativi di cacciarle via. Molti grandi famiglie sono perseguitate da fantasmi di antenati morti quasi sempre in maniera tragica. E’ così per la famosa “dama bianca” degli Hohenzollern tedeschi, ai quali apparirebbe lo spettro di Agnese Orlamunde che morì murata viva per avere commesso un infanticidio. Agnese apparirebbe in vesti completamente bianche per testimoniare nei secoli la sua presenza. Secondo un’altra versione, si tratterebbe invece di della principessa Bertha von Rosenburg. Ma chiunque essa sia, la sua apparizione preannuncia immancabilmente la morte di un Hohenzollern.

Federico Guglielmo IV di Prussia, che del suo piccolo stato tedesco fece una grande nazione europea, divenne pazzo dopo il 1861, si dice in seguito di una apparizione spettrale orribile. Anche tre diverse sentinelle di guardia alla porta del castello di Federico, videro la “dama bianca” avanzare alla testa di un corteo di beccamorti privi di testa che trasportavano un feretro. La sfilata scivolò lentamente dentro il castello passando attraverso le spesse mura, per poi riapparire pochi secondo dopo: stavano trasportando nella bara una corona regale, chiara allegoria della morte del sovrano. Il re già malato e vecchio, non si riprese più e cessò di vivere due mesi più tardi. Anche la morte di suo padre, il re Guglielmo III di Prussia, era stata preannunciata dalla apparizione di uno spettro, mentre un suo antenato mangravio di Bayreuth, nel 1678 aveva visto da “dama bianca” un attimo prima che i suoi cavalli lo travolgessero, uccidendolo.

La famiglia reale di Baviera condivideva con la famiglia ducale di Assia un altro araldo di morte. Era la cosiddetta “dama nera” di Darmstadt. Si pensa fosse il fantasma di una granduchessa morta nel 1523 cadendo da un dirupo. Nel 1850 venne vista ad Archaffenburg mentre il granduca d’Assia stava prendendo il the con i genitori. Pochi giorni dopo, il giovane nobiluomo morì di colera. Quattro anni più tardi la regina di Sassonia vide la “dama nera” durante un soggiorno nell’isola d’Elba. Disse che lo spettro stava compiendo dei giri intorno ad una sedia. Alcuni giorni dopo arrivò la notizia che il consorte della regina era deceduto a Dresda.

Si dice anche che la famiglia dei Borgia sia stata assediata dagli spiriti. L’incidente più celebrato capitò a papa Alessandro VI: un cardinale, entrando negli appartamenti pontifici una sera del 1503, trovò il pontefice che giaceva su una bara spettrale illuminata da una livida luce. Terrorizzato, il prelato si fece il segno della croce e la visione sparì. Ma prima di mezzanotte, papa Borgia era già deceduto.

di Diego Di Giuseppe S. (presidente M.I.R.)



IL MISTERO DI KASPAR HAUSER


Il lunedì dopo la Pentecoste del 1828, un ragazzo dalla apparente età di 15-17 anni comparve improvvisamente nella città di Norimberga. Indossava rozzi abiti da contadino, e tutti quelli che l’incontrarono lo presero per un idiota o per un ubriaco. Il ragazzotto portava però con se una lettera indirizzata al capitano del quarto squadrone del sesto cavalleria di Norimberga. Un calzolaio lo condusse alla casa del capitano, e il ragazzo espresse il desiderio di diventare un soldato come era stato suo padre. Fu condotto poi alla più vicina stazione di polizia per essere identificato, ma qui rispose “non so” ad ogni domanda che gli veniva posta. Sembrava avesse avuto l’età mentale di un bambino di tre o quattro anni, e quando gli porgevano carta e penna era in grado di scrivere solamente un nome: Kaspar Hauser. Invece di essere arruolato in cavalleria, fu aggregato ad un centro di detenzione per vagabondi e successivamente adibito come domestico nella abitazione del direttore del carcere. Il carceriere notò molte cose curiose di quel ragazzo, che tutti nel frattempo presero a chiamare Kaspar. Era ben fatto nel corpo ed aveva piedi “soffici da infante” che stridevano con l’aspetto contadinesco. Il sorriso esprimeva una totale innocenza, e non sembrava avere molti mezzi di espressione facciale. Quando camminava, molto spesso incespicava come un bambino che muoveva i primi passi. Il giovane imparò in breve tempo a parlare correttamente, ma sempre con frasi brevi e spezzate. Si nutriva soltanto di pane di segale e di acqua, e qualsiasi altro cibo lo faceva stare male. Non mostrava imbarazzo quando la moglie del direttore del carcere lo lavava, e sembrava di non rendersi conto delle differenze fisiche esistenti tra uomini e donne. Soprattutto, il direttore concluse che Kaspar non era un impostore (come risulta da un rapporto scritto dello stesso funzionario) e che ci doveva essere intorno a lui un enorme mistero. L’interesse della gente aumentò intorno al trovatello ed uno studioso, il dottor Hans Daumer, volle prendersi cura della sua educazione. Successivamente Kaspar fu in grado di aprire spiragli sul suo stupefacente passato. Egli dichiarò che prima di arrivare a Norimberga aveva visto un solo essere umano in tutta la sua vita, quello che gli scrisse la lettera per il capitano di cavalleria. Per quanto avesse ricordato, gli sembrava di essere stato sempre in una stanza lunga circa due metri, larga uno e mezzo e alta meno di due. Non c’era una forte luce. Sarebbe stato sempre seduto o steso su un pagliericcio, avrebbe indossato sempre una camicia e braghe di pelle di vacca. Ogni mattina avrebbe trovato accanto una brocca d’acqua e un pezzo di pane. A volte l’acqua avrebbe avuto un sapore amaro che lo faceva subito addormentare. Al risveglio avrebbe sempre notato che gli erao stati cambiati i panni intimi e tagliate le unghie. Un giorno un uomo sarebbe entrato nella cella e gli avrebbe insegnato a scrivere Kaspar Hauser e a dire “voglio essere un soldato come era mio padre”. L’ultima volta l’uomo lo aveva poi caricato sulle spalle e lo aveva portato fuori, dove l’aria e la luce lo aveva fatto svenire. IL ragazzo non avrebbe ricordato altro, fino al momento in cui si era trovato a vagare per le vie di Norimberga. La vicenda del giovane valicò i confini nazionali, tutta l’Europa si interessò del poveretto. Kaspar fu visitato da medici e interrogato da giuristi e da pubblici funzionari. Considerata la sua notevole somiglianza con un famigliare dei duchi di Baden, venne ripetutamente collegato a questa famiglia nobiliare. Peraltro nel 1813, circa all’epoca della nascita di Kaspar, la famiglia aveva subito la perdita di due principi. Subito dopo la morte del granduca regnante, nel marzo del 1830 il conte inglese Francis Stanhope fece richiesta di diventare il tutore di Kaspar, incarico che gli fu subito concesso. Il conte dichiarò pubblicamente che il giovane fosse di origine ungherese, e che non avesse legami con la dinastia di Baden. Tentò anche con ogni mezzo di persuadere altri a mutare le loro versioni della storia, dicendo di avere sempre pensato che si trattasse di un impostore. Ma un giudice di Norimberga, tale Hanselm Ritter von Feuerbach, dopo avere a lungo studiato il caso emise una sentenza in cui concludeva vi fossero sussistiti motivi di interesse per l’allontanamento di Kaspar dal nucleo famigliare originario, e che egli fosse certamente stato figlio legittimo di genitori principeschi, che lo avrebbero messo in disparte per aprire la via della successione ad altri eredi. Nel 1833 il giudice morì improvvisamente. La popolazione di Norimberga prese a vociferare che fosse stato avvelenato per avere trovato le prove dell’origine di Kaspar, anche se di queste non ne fosse stata fornita alcuna. Anche la fine di Kaspar fu tragica e misteriosa. Un pomeriggio di giugno del 1833 venne attirato in un parco della cittadina di Ansbach con la promessa di rivelazioni su i suoi parenti. Qui venne pugnalato e morì dopo tre giorni di agonia. Si disse che la granduchessa Stefania di Baden, da molte persone ritenuta la madre di Kaspar, avesse pianto settimane intere dopo avere appreso della morte del giovane. Una voce insistente sostenne che quando Stefania diede alla luce il primo figlio, ella avesse fatto mettere di nascosto nella culla il bambino morto di una contadina, scambiandolo con il piccolo Kaspar perfettamente nato in salute. La contessa lo avrebbe successivamente consegnato al maggiore Willhelm Hennenhofer, il quale a sua volta lo avrebbe affidato alle cure di un subalterno. Alcuni hanno perfino sostenuto che Hennenhofer, messo alle strette da alcuni agenti di polizia provenuti dalla Baviera, avesse confessato la parte e il denaro avuto per il complotto. Ma la vera, triste storia di Kaspar Hauser non potrà mai essere confermata. Il caso è destinato a rimanere negli annali della storia misteriosa di ogni tempo. Infatti, quando il maggiore Hennehofer morì, uno strano incendio distrusse tutti i suoi documenti privati.

Pietro Montedoro (sezione culturale M.I.R.)


GLI ANGELI DI MONS


Un mese dopo la sanguinosa battaglia di Mons, città fluviale del Belgio, avvenuta durante la prima guerra mondiale, sul quotidiano “Evening News” di Londra fu pubblicato un servizio che provocò grande sensazione e che doveva dare luogo a lunghe e vivaci polemiche. L’articolo era firmato dal giornalista Arthur Machen, e raccontava come una compagnia di soldati inglesi durante la battaglia fosse stata salvata da “alleati celesti” dall’attacco di una preponderante forza nemica: l’angelo di Mons - per altri un gruppo di angeli secondo le versioni successive all’articolo - si sarebbe piazzato improvvisamente tra gli inglesi e i tedeschi costringendo questi ultimi a ritirata. Lo scontro si era svolto il 26 agosto 1914, e quando l’articolo apparve la maggiore parte dei superstiti inglesi si trovava ancora in Francia. Nel maggio dell’anno seguente, la figlia di un ecclesiastico pubblicò su una rivista parrocchiale quella che, secondo lei, era la versione dei fatti rivelatale da un ufficiale inglese di cui non poteva fare il nome. L’ufficiale le avrebbe riferito che mentre la sua compagnia si stava ritirando da Mons, un reparto di cavalleria tedesca si fosse gettata all’inseguimento. Gli inglesi si sarebbero pertanto diretti verso una posizione da dove avrebbero potuto combattere con maggiore efficacia, ma i tedeschi l’avrebbero raggiunta prima di loro. Sicuri di essere ormai destinati a soccombere, gli inglesi avrebbero visto con stupore un gruppo di angeli interporsi tra loro e il nemico. I cavalli dei tedeschi si sarebbero spaventati, disperdendosi in tutte le direzioni. Anche un cappellano dell’esercito inglese, il reverendo Henry Chavasses, lasciò scritto di avere udito un racconto simile da alcuni alti ufficiali. Un tenente colonnello riferì successivamente che durante la ritirata il suo battaglione fosse stato scortato per più di venti minuti da uno “squadrone fantasma”. A proposito del fatto, il comando militare tedesco dichiarò invece che i suoi uomini si fossero rifiutati di andare alla carica contro un punto dove la linea inglese era stata spezzata a causa della “presenza di un rilevante numero di truppe nemiche” ma, secondo il comando inglese, non ci sarebbe stato un solo soldato britannico in tutta quella zona. L’aspetto più strano dei racconti sugli “angeli di Mons”, fu che le informazioni fossero tutte provenute da fonti indirette. Gli ufficiali che avevano parlato desideravano restare nell’anonimato, temendo di essere accusati di immaginazione eccessiva e di rovinarsi la carriera. Vari anni più tardi, il giornalista Arthur Machen che nel frattempo aveva pubblicato novelle del genere orrorifico ed era entrato a fare parte della celeberrima “Golden Down” di Alaister Crowley, dichiarò pubblicamente che il suo articolo era stato inventato di sana pianta. Tuttavia, nonostante l’ammissione molti reduci inglesi continuarono a parlare degli strani eventi di Mons, e alcuni storici finirono per prestare fede a qualcosa di sopranaturale che doveva necessariamente essere accaduto. Forse centinaia di reduci si erano lasciati suggestionare da una storia così fantasiosa? Perché avrebbero deciso di sostenerla? O forse, invece, era accaduto veramente qualcosa che aveva indotto inglesi e tedeschi di avere visto una fantomatica schiera di angeli armati? Quale sia la spiegazione, durante la battaglia di Mons gli inglesi compirono davvero un prodigio militare: nonostante le pesanti perdite, essi riuscirono ad effettuare una ritirata strategica che lasciò intatta la loro forza.

di Gabriele Petromilli (direttore M.I.R.)



MASADA. UN SUICIDIO DI MASSA


Mentre la decima legione romana nell’anno 73 preparava l’attacco finale contro la fortezza di Masada, situata su una piattaforma rocciosa affacciata sulla sponda orientale del Mar Morto, la guarnigione di ebrei Zeloti asserragliata al suo interno giunse alla decisione estrema: piuttosto che arrendersi e sottomettersi alla rappresaglia romana e alla sicura schiavitù, si sarebbero tutti suicidati. Il suicidio degli Zeloti, capeggiati da tale Eleazar ben Yair, fu ricordato dallo storico giudeo Giuseppe Flavio. Secondo il racconto, Eleazar ordinò che l’intera fortezza fosse bruciata ad eccezione delle riserve di cibo, giacché essi volevano dimostrare che avessero agito per motivi di fede religiosa e non per disperazione. I capofamiglia ebrei uccisero mogli e figli, poi furono scelti dieci uomini che sorteggiarono il nome di colui che avrebbe dovuto uccidere tutti i rimanenti. I Romani, una volta entrati a Masada, trovarono un silenzio perfetto. Come scrisse Giuseppe, all’interno della fortezza trovarono i corpi dei nemici, ma non poterono rallegrarsene. Non poterono fare altro che meravigliarsi di fronte al coraggio di una simile risoluzione e al disprezzo della morte che un numero così alto di persone aveva dimostrato. Di 967 ebrei, solo sette (due donne e cinque bambini) sopravvissero casualmente nascosti in una caverna. I Romani rimasero commossi, non li uccisero ed essi poterono narrare i fatti degli ultimi momenti. Masada è divenuto uno dei più celebri simboli della lotta per la libertà. Tuttavia questa vicenda fu a lungo considerata dubbia, in quanto l’unico resoconto proveniva da uno storico ebreo che, peraltro, si trovava lontano dalla scena dei fatti. Le prove del massacro furono trovate nel 1963, nel corso di scavi archeologici nella zona diretti dal professor Yigael Yadin. Le ricerche stabilirono perfettamente sia la natura che lo svolgimento degli eventi. La fortezza di Masada (o Massada) sarebbe stata edificata circa 30 anni prima della nascita di Gesù per ordine del re Erode il Grande. Lungo la scarpata Erode fece costruire un palazzo residenziale su tre piani, che diventò proprietà romana dopo la morte del sovrano fino al 66, anno in cui venne conquistata dai ribelli Zeloti. Quattro anni più tardi la ribellione antiromana era stata soffocata in tutto il territorio, e soltanto la fortezza sulle rocce resisteva. Il procuratore romano della Giudea, Flavio Silva, marciò contro Masada nell’anno 72 alla testa della formidabile decima legione. Fece costruire intorno alla fortezza un muro di cinta affinché nessuna persona potesse fuggire dal posto, poi diede inzio agli attacchi. Il migliore punto di ingresso era costituito da uno sperone roccioso sul fianco occidentale della cittadella. I romani cominciarono a costruire un vasto terrapieno per raggiungerlo. All’arrivo della primavera dell’anno seguente, il procuratore romano lo fece completare con una torre da assedio in pietra, dove fece portare le macchine da guerra che, in breve tempo, ridussero Masada in rovina. Poi l’epilogo.Diciannove secoli più tardi dagli eventi, gli archeologi hanno dissotterrato le prove dell’ultima disperata resistenza degli Zeloti. Tra i resti hanno trovato anche i frammenti di quattordici rotoli di pergamena, databili con sufficiente certezza agli anni precedenti il 73. Contenevano brani dei libri biblici del “Deuteronomio”, di “Ezechiele” e dei “Salmi”. Uno recava un testo simile ad uno rinvenuto tra i “Rotoli del Mare Morto”. In un punto strategico della fortezza gli archeologi hanno trovato undici pezzi di ceramica, ciascuno con un nome scritto sopra ed apparentemente incisi dalla stessa mano. Su di uno vi era perfettamente leggibile il nome del comandante Eleazar ben Yair. Il fatto starebbe a dimostrare che gli scritti di Giuseppe Flavio risposero a verità. Oggi Masada è un luogo sacro per gli Israeliani e per tutti gli ebrei. In proposito, vale la frase contenuta nel giuramento che ogni uomo israeliano in armi deve pronunciare: “Masada non cadrà una seconda volta”.

di Elena Di Faggio (sez. culturale del M.I.R.)



GLI STRANI CASI DEGLI ANIMALI PARLANTI


Alcuni strani avvenimenti si verificarono in Europa a partire dai primi anni del secolo scorso. Si trattò di una serie di fatti che, a mio avviso, non rientrano nel contesto della fenomenologia paranormale ma che colpiscono ugualmente, ora come allora, per la loro singolarità. Si trattò di animali che parlavano. E’ bene comunque sgombrare il campo da equivoci: non furono animali che si esprimevano foneticamente con parole, ma di bestioline che sembravano intendere il linguaggio umano e che rispondevano a tono con vari mezzi convenzionali, per lo più tavolette che recavano scritti numeri o lettere dell’alfabeto. Il primo caso avvenne intorno al 1910 nella cittadina tedesca di Feudensheim. Un cane di razza rottweiler di nome Rolf, ospitato in un canile e curato da ferite subite dopo un investimento, cominciò a battere con le zampe il numero esatto di facili addizioni numeriche che gli venivano verbalmente proposte. Per esempio, se gli si chiedeva il risultato di quattro più due, Rolf batteva per sei volte la zampa anteriore sul pavimento. Successivamente la padrona, tale signora Marie Moeckel, insegnò al cane anche l’alfabeto, tuttavia associando le lettere alfabetiche ai numeri secondo uno schema prestabilito. I risultati ottenuti furono strabilianti. Rolf era in grado di comporre parole e semplici frasi infantili, comunque sempre appropriate ed esatte nella logica. L’animale fu studiato da medici veterinari e da uomini di scienza, quali Edmond Duchatel e William Mackenzie. Venne fatto accoppiare più volte, e in qualche suo discendente furono riscontrate capacità similari, quantunque sopite. In Italia, a partire dal 1938 si parlò della cagnetta di razza scottish-terrier di nome Bonny che sapeva anch’essa fare di conto, e della barboncina Dana di proprietà del signor Gino Del Mar. Dana eseguiva facili operazioni aritmetiche, distingueva tredici colori e li indicava con esattezza, componeva brevi frasi di senso compiuto rispondendo a domande oppure manifestando spontaneamente le proprie idee, se di idee si fosse effettivamente trattato. Si esprimeva attraverso un numero prefissato di latrati, oppure mediante lettere alfabetiche intagliate nel legno e munite di una linguella di cuoio per poterle agevolmente afferrare con i denti.
Anche i cavalli ebbero modo di dimostrare un’intelligenza singolare. Fu il caso dei così detti “cavalli di Elberfeld”, che presero nome dalla cittadina bavarese in cui viveva il loro proprietario, il barone Wilhelm von Osten. Nel 1904 Hans, uno dei cavalli della scuderia, mostrò particolare propensione per il calcolo aritmetico. Alla morte del barone, l’impegno di verificare le straordinarie doti equine passò a tale Karl Krall il quale, successivamente, ebbe modo di sperimentare similari capacità in altri cavalli. Questi furono a lungo studiati da personalità del mondo scientifico del tempo, come i professori universitari Alfred Baredka ed Emile Claparéde, Roberto Assagioli e Maurice Maeterlinck. Scrisse quest’ultimo in una delle sue relazioni: “Ciò che soprattutto colpisce è la facilità con la quale il cavallo Muhamed dà le soluzioni. L’ultima cifra è appena uscita dal gesso che già lo zoccolo batte le unità, immediatamente seguito dal sinistro che batte le decine.” Secondo il già citato William Mackenzie, i cavalli avrebbero posseduto vere e proprie capacità medianiche attinte da una sorta di “biopsiche”, sede di una intelligenza generica e fonte delle manifestazioni animali singole e collettive.
A partire dal 1930 si sarebbe verificato uno dei più curiosi casi di poltergeist della casistica paranormale. A riferirlo fu il celebre ricercatore inglese Harry Price, che tuttavia sembra non avesse avuto modo di verificarlo personalmente. Nella fattoria della famiglia Irving, situata nell’isola di Mann, avrebbe iniziato a fare visite una mangusta che poteva imitare il verso degli animali da cortile. La mangusta, che fu soprannominata Little Geff, avrebbe anche parlato un perfetto inglese. Avrebbe dichiarato agli allibiti agricoltori di essere arrivata nell’isola con un naviglio proveniente dall’India. Contemporaneamente alla presenza dell’animale, si sarebbero verificati spiacevoli fenomeni infestatori nei locali della abitazione ed in quelli adibiti a lavoro, avvenimenti strani che si sarebbero protratti per oltre due anni. La notizia della “mangusta parlante” venne alla fine diffusa dalla stampa con l’intento di suscitare sensazione, ma provocò soltanto ilarità tra la popolazione. Tuttavia gli avvenimenti, certamente più immaginari che reali, non mancarono di suscitare la curiosità sia di Price che del celebre parapsicologo del tempo Nandor Fodor, i quali scrissero sul caso relazioni ed articoli di giornale in base a testimonianze di seconda mano.

Referenze bibliografiche:
Assagioli Roberto, “I cavalli pensanti di Elberfeld”, Edizioni Psiche 1912
Mackenzie William, “I cosiddetti animali pensanti”, Edizioni Metapsichica 1946
Pfungst Oscar, “Il cavallo del barone von Osten”, Edizioni Marianelli 1914.
Price Harry, “Confessioni di un cacciatore di spiriti”, Edizioni Marasso 1936.
Tegani Ugo, “Il vostro cane può scrivere!” Edizioni Bocca 1939

di Gabriele Petromilli (direttore M.I.R.)

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